11.
SOTTO TERRA, SOTTO IL CIELO
Sandra
Convinsi mia sorella ad andare insieme alla casetta per qualche giorno. Le dissi che al bambino avrebbe fatto benissimo l’aria di mare e stare in mezzo ad altri coetanei, circondato dal calore della sua famiglia, compresi i nonni. Aveva sei mesi ed era molto sveglio o, per meglio dire, un buon osservatore. Se era vera la storia che il feto assimila le sensazioni esterne, aveva dovuto captare molti sospetti, molte paure e molte precauzioni, e il messaggio chiaro che niente e nessuno sono ciò che sembrano. Quando ci guardava sembrava cercare la verità dentro di noi o sapere che dietro qualsiasi cosa c’è sempre dell’altro.
Dopo aver valutato centinaia di nomi avevo scelto Julián. Lo chiamavamo Janín. Mi sarebbe piaciuto che il vecchio Julián lo sapesse, così gli mandai un messaggio all’albergo Costa Azul, ma mi tornò indietro. Non viveva più lì, per cui ipotizzai che fosse tornato in Argentina.
Credo che se in quel momento decisi di tornare a Dianium fu perché avevo la speranza di incontrare Alberto da qualche parte. All’inizio lo sognavo. Sognavo che andavamo insieme in motorino fino a Villa Sol, che passeggiavamo sulla spiaggia. Sognavo che quel mondo avesse una luce brillante che mi accecava e mi impediva di vedere bene quel che c’era intorno. Sognavo la ragazza della spiaggia come se non fossi stata io. Ormai non ero più quella ragazza. Me la ricordavo come una sorella minore piena di dubbi. Non che adesso fossi sicura di tutto, ma ero entrata nella casa del male, avevo provato il male come si prova la malattia o la miseria, tutto quello che ti fa stare in un mondo a parte, e questa non è una cosa che si dimentica.
Mi fece impressione entrare nella casetta. Odorava di fiori. Sembrava fossero passati mille anni da quando ero arrivata lì con la valigia e la testa piena di confusione. Scendemmo di corsa dalla macchina inondando il giardino di grida. Non appena i miei genitori ci misero piede iniziarono a discutere. Janín li guardava con gli occhi bene aperti. Erano rimasti ancora un po’ di libri e di carte dell’inquilino. Mio cognato iniziò subito a trovare scuse per andare in paese senza la truppa, come ci chiamava. In quelle circostanze non sarebbe mai potuto accadere nulla di simile a ciò che mi era successo. Non sarebbero potuti esistere un Fred o una Karin, né Villa Sol, né Julián.
Non sarebbe potuto esistere Alberto.
Mi sistemai nella stanza più piccola. Mio padre vi portò una culla dei miei nipoti che aveva trovato in garage e spalancò la finestra. Gli uccellini svolazzavano fra i rami verdi.